Origini: la Bibliotheca
Ca' Fante
Di questa Biblioteca si deve innanzitutto dire che ha
avuto una genesi particolare: la sua nascita come luogo di studio e di ricerca pubblico
non coincide infatti, come accade quasi sempre per le biblioteche costituite da lasciti
librari, con la scomparsa dello studioso che la possedeva e con la fine quindi del suo uso
"privato". Già alcuni anni prima della sua morte (7 gennaio 1993), nel
1985, in coincidenza con il trasloco nella nuova casa di via Piave a Urbino - l'antica via
Ca' Fante richiamata nel logo della biblioteca qui a fianco - Italo Mancini aveva messo i circa 15.000 volumi
accumulati in un quarantennio di lavoro universitario a disposizione di studenti,
ricercatori e amici. Sempre a partire da quell'anno, la bilioteca figurò nel Vademecum
dell'Istituto Superiore di Scienze Religiose di Urbino come biblioteca d'Istituto. Del
resto, chiunque gliene avesse fatto richiesta era ammesso ad occupare uno dei 20 posti a
sedere nelle tre sale sottostanti il suo appartamento, per qualche giorno o per tutta la
stagione.
La Biblioteca era provvista di un catalogo per autore e per
soggetto, che Mancini teneva costantemento aggiornato e che raccoglieva anche schede di
spoglio di una ventina di periodici di filosofia e scienze religiose, strumento
particolarmente utile per la ricerca. Estratti da volumi, fotocopie, articoli di giornale
erano ugualmente catalogati e soggettati tra i circa 1000 "opuscoli". I libri
non avevano una collocazione, come quella che tradizionalmente si usa nelle biblioteche,
ma erano sistemati secondo l'ordine cronologico, cominciando dai Presocratici fino al
Novecento; all'interno di questa partizione generale si trovavano poi grandi gruppi
tematici (patristica, pensatori russi, illuminismo francese, ecc.). Accanto alle opere di
ciascun autore, i testi di critica: con un colpo d'occhio sullo scaffale si poteva avere
la sensazione di quale "spazio" un autore occupasse nella storia del pensiero. I
testi più recenti erano in fondo, in ordine alfabetico, in attesa di una classificazione
che solo la storia degli effetti avrebbe potuto dare.
Mancini studiava in mezzo agli altri e, nelle pause del
lavoro, dava preziose indicazioni.
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Il patrimonio
Della consistenza numerica si è già detto. Il
materiale del nucleo originario della Biblioteca Ca' Fante era costituito
prevalentemente da testi di filosofia, che coprivano tutte le aree di questa
disciplina. Particolarmente ricca la sezione dedicata alla filosofia moderna e
contemporanea: dagli autori del Cinquecento e del Seicento, tutti abbondantemente
rappresentati e spesso con le edizioni critiche in lingua originale, fino all'intero
scaffale dedicato a Kant, di cui Mancini è stato lettore instancabile e acuto interprete
(si pensi a testi come Kant e la teologia [1975] o come la Guida alla Critica
della ragion pura [2 voll., 1982 e 1988]). Per la grande stagione dell'idealismo
tedesco, si potevano consultare le opere in lingua originale e nelle traduzioni italiane
più importanti; così anche per il marxismo ottocentesco e contemporaneo.
Un altro settore, quello dedicato al Novecento teologico, merita una menzione particolare:
Novecento teologico [1977] è anche il titolo di uno dei testi più impegnativi di
Mancini, quello che riassume i risultati del suo lungo lavoro di interpretazione e
diffusione nella cultura italiana delle opere di tre grandi della teologia novecentesca,
Karl Barth, Rudolf Bultmann e Dietrich Bonhoeffer. Questa impresa, che Mancini considerava
forse il suo più grande merito culturale, aveva contribuito a costituire un consistente e
raro patrimonio bibliografico che ora occupava una fitta serie di ripiani.
Infine, tutte le principali correnti filosofiche del
Novecento erano rappresentate e riempivano quasi per intero la terza sala della Bibliotheca
Ca'Fante. Concludeva la sezione dedicata alla filosofia del diritto, materia alla
quale Mancini aveva dedicato i suoi ultimi anni di studio e opere ponderose come la Filosofia
della prassi [1986] e L'ethos dell'occidente [1990].
Il patrimonio attuale della Biblioteca coincide quasi interamente con il nucleo
originario qui sopra brevemente descritto. Dove il "quasi" comprende sia le
opere acquistate successivamente alla donazione del fondo bibliografico da parte dei
fratelli di Mancini, Antonio e Sergio, all'Università di Urbino (e qui si tratta
soprattutto di classici della teologia, come la Somma teologica di Tommaso, nella
traduzione e commento a cura dei Domenicani italiani), sia i titoli esclusi dalla
donazione, non appartenenti alla specificità della biblioteca, ossia i testi di
letteratura, i romanzi, le raccolte di poesia.
Tutti gli scritti di Italo Mancini, più di 300 titoli, sono custoditi attualmente
dalla Biblioteca. |
Afferrati
e affacciati. La vocazione della Biblioteca
Nell'impossibilità di tenere sempre aperta la porta
d'ingresso della propria abitazione o di sopportare il ripetuto suono del campanello,
Mancini aveva deciso di consegnare ai più fidati le chiavi di casa. Nel corso del tempo,
una ventina di persone erano arrivate a possederle e la Biblioteca, nei periodi di
attività accademica più intensa (in coincidenza con gli esami e con le tesi), era
frequentata quasi ininterrottamente: dalle 7.30 del mattino, se si riusciva a
superare la fitta nuvola di fumo proveniente dalla pipa di don Italo, in perenne
combustione, fino a mezzanotte, limite massimo di qualsiasi attività, perché la
notte è fatta per il riposo.
Mancini aveva distinto i suoi ospiti in due categorie: gli afferrati, ossia coloro
che, giunti occasionalmente per preparare un esame in un ambiente propizio allo studio,
finivano col restare legati al luogo e alle persone e spesso col preparare la tesi con
lui; o anche coloro che, come chi scrive, avevano da tempo un rapporto di collaborazione
con le sue attività accademiche. E gli affacciati, popolo più mobile e numeroso, studenti che preparavano qui
soltanto un esame, oppure che restavano a Urbino solo lo spazio di una stagione, o anche
studiosi che volevano consultare un volume che a Urbino solo la Biblioteca Ca' Fante
possedeva e che dovevano farlo in loco: i libri erano rigorosamente esclusi dal
prestito.
Per tutti valeva una sorta di carta costituzionale, un
vecchio poster inchiodato alla porta d'ingresso della Biblioteca che imponeva all'ospite
queste parole: «Yo escribo porque me gusta estudiar. El niño que no estudia no es buen
revolucionario», scritte a mano, a caratteri cubitali e attribuite a un «bambino
cubano» del 1968. In alto, Mancini aveva aggiunto di suo pugno: «La prima cosa che qui
si deve imparare è stare a sedere», parafrasando un'espressione delle Lezioni di
filosofia del diritto di Hegel. La vocazione della comunità di studio riunita attorno
alla Biblioteca per Mancini era tutta qui: è necessario per l'uomo di cultura
(soprattutto se cristiano), incidere sulla storia, essere «buen revolucionario»; ma ciò
è possibile e ha senso soltanto se la prassi è corroborata dalla theoria,
dall'attività di un pensiero rigoroso volto alla ricerca, alla contemplazione e
all'ascolto della Verità, favoriti da lunghe ore passate «a sedere».
Nata con questa vocazione, c'è da augurarsi che la
Biblioteca continui a vivere con questo programma. |