Storia e attualità della Biblioteca "Italo Mancini"


di Sebastiano Miccoli

Origini: la Bibliotheca Ca' Fante

Il patrimonio

Afferrati e affacciati


Origini: la Bibliotheca Ca' Fante


 Di questa Biblioteca si deve innanzitutto dire che ha avuto una genesi particolare: la sua nascita come luogo di studio e di ricerca pubblico non coincide infatti, come accade quasi sempre per le biblioteche costituite da lasciti librari, con la scomparsa dello studioso che la possedeva e con la fine quindi del suo uso "privato". Già alcuni anni prima della sua morte (7 gennaio 1993),  nel 1985, in coincidenza con il trasloco nella nuova casa di via Piave a Urbino - l'antica via Ca' Fante richiamata nel logo della biblioteca qui a fianco  - Italo Mancini aveva messo i circa 15.000 volumi accumulati in un quarantennio di lavoro universitario a disposizione di studenti, ricercatori e amici. Sempre a partire da quell'anno, la bilioteca figurò nel Vademecum dell'Istituto Superiore di Scienze Religiose di Urbino come biblioteca d'Istituto. Del resto, chiunque gliene avesse fatto richiesta era ammesso ad occupare uno dei 20 posti a sedere nelle tre sale sottostanti il suo appartamento, per qualche giorno o per tutta la stagione. 
La Biblioteca era provvista di un catalogo per autore e per soggetto, che Mancini teneva costantemento aggiornato e che raccoglieva anche schede di spoglio di una ventina di periodici di filosofia e scienze religiose, strumento particolarmente utile per la ricerca. Estratti da volumi, fotocopie, articoli di giornale erano ugualmente catalogati e soggettati tra i circa 1000 "opuscoli". I libri non avevano una collocazione, come quella che tradizionalmente si usa nelle biblioteche, ma erano sistemati secondo l'ordine cronologico, cominciando dai Presocratici fino al Novecento; all'interno di questa partizione generale si trovavano poi grandi gruppi tematici (patristica, pensatori russi, illuminismo francese, ecc.). Accanto alle opere di ciascun autore, i testi di critica: con un colpo d'occhio sullo scaffale si poteva avere la sensazione di quale "spazio" un autore occupasse nella storia del pensiero. I testi più recenti erano in fondo, in ordine alfabetico, in attesa di una classificazione che solo la storia degli effetti avrebbe potuto dare.
Mancini studiava in mezzo agli altri e, nelle pause del lavoro, dava preziose indicazioni.



Il patrimonio

 Della consistenza numerica si è già detto. Il materiale del nucleo originario della Biblioteca Ca' Fante era costituito prevalentemente da testi di filosofia, che coprivano tutte le aree di questa disciplina. Particolarmente ricca la sezione dedicata alla filosofia moderna e contemporanea: dagli autori del Cinquecento e del Seicento, tutti abbondantemente rappresentati e spesso con le edizioni critiche in lingua originale, fino all'intero scaffale dedicato a Kant, di cui Mancini è stato lettore instancabile e acuto interprete (si pensi a testi come Kant e la teologia [1975] o come la Guida alla Critica della ragion pura [2 voll., 1982 e 1988]). Per la grande stagione dell'idealismo tedesco, si potevano consultare le opere in lingua originale e nelle traduzioni italiane più importanti; così anche per il marxismo ottocentesco e contemporaneo. 
Un altro settore, quello dedicato al Novecento teologico, merita una menzione particolare: Novecento teologico [1977] è anche il titolo di uno dei testi più impegnativi di Mancini, quello che riassume i risultati del suo lungo lavoro di interpretazione e diffusione nella cultura italiana delle opere di tre grandi della teologia novecentesca, Karl Barth, Rudolf Bultmann e Dietrich Bonhoeffer. Questa impresa, che Mancini considerava forse il suo più grande merito culturale, aveva contribuito a costituire un consistente e raro patrimonio bibliografico che ora occupava una fitta serie di ripiani. 

Infine, tutte le principali correnti filosofiche del Novecento erano rappresentate e riempivano quasi per intero la terza sala della Bibliotheca Ca'Fante. Concludeva la sezione dedicata alla filosofia del diritto, materia alla quale Mancini aveva dedicato i suoi ultimi anni di studio e opere ponderose come la Filosofia della prassi [1986] e L'ethos dell'occidente [1990].
Il patrimonio attuale della Biblioteca coincide quasi interamente con il nucleo originario qui sopra brevemente descritto. Dove il "quasi" comprende sia le opere acquistate successivamente alla donazione del fondo bibliografico da parte dei fratelli di Mancini, Antonio e Sergio, all'Università di Urbino (e qui si tratta soprattutto di classici della teologia, come la Somma teologica di Tommaso, nella traduzione e commento a cura dei Domenicani italiani), sia i titoli esclusi dalla donazione, non appartenenti alla specificità della biblioteca, ossia i testi di letteratura, i romanzi, le raccolte di poesia.

Tutti gli scritti di Italo Mancini, più di 300 titoli, sono custoditi attualmente dalla Biblioteca.


Afferrati e affacciati. La vocazione della Biblioteca

Nell'impossibilità di tenere sempre aperta la porta d'ingresso della propria abitazione o di sopportare il ripetuto suono del campanello, Mancini aveva deciso di consegnare ai più fidati le chiavi di casa. Nel corso del tempo, una ventina di persone erano arrivate a possederle e la Biblioteca, nei periodi di attività accademica più intensa (in coincidenza con gli esami e con le tesi), era frequentata quasi ininterrottamente: dalle 7.30 del mattino, se si riusciva a superare  la fitta nuvola di fumo proveniente dalla pipa di don Italo, in perenne combustione, fino a  mezzanotte, limite massimo di qualsiasi attività, perché la notte è fatta per il riposo. 
Mancini aveva distinto i suoi ospiti in due categorie: gli afferrati, ossia coloro che, giunti occasionalmente per preparare un esame in un ambiente propizio allo studio, finivano col restare legati al luogo e alle persone e spesso col preparare la tesi con lui; o anche coloro che, come chi scrive, avevano da tempo un rapporto di collaborazione con le sue attività accademiche. E gli affacciati, popolo più mobile e numeroso, studenti che preparavano qui soltanto un esame, oppure che restavano a Urbino solo lo spazio di una stagione, o anche studiosi che volevano consultare un volume che a Urbino solo la Biblioteca Ca' Fante possedeva e che dovevano farlo in loco: i libri erano rigorosamente esclusi dal prestito. 

Per tutti valeva una sorta di carta costituzionale, un vecchio poster inchiodato alla porta d'ingresso della Biblioteca che imponeva all'ospite queste parole: «Yo escribo porque me gusta estudiar. El niño que no estudia no es buen revolucionario», scritte a mano, a caratteri cubitali e attribuite a un «bambino cubano» del 1968. In alto, Mancini aveva aggiunto di suo pugno: «La prima cosa che qui si deve imparare è stare a sedere», parafrasando un'espressione delle Lezioni di filosofia del diritto di Hegel. La vocazione della comunità di studio riunita attorno alla Biblioteca per Mancini era tutta qui: è necessario per l'uomo di cultura (soprattutto se cristiano), incidere sulla storia, essere «buen revolucionario»; ma ciò è possibile e ha senso soltanto se la prassi è corroborata dalla theoria, dall'attività di un pensiero rigoroso volto alla ricerca, alla contemplazione e all'ascolto della Verità, favoriti da lunghe ore passate «a sedere».

Nata con questa vocazione, c'è da augurarsi che la Biblioteca continui a vivere con questo programma.